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Licenziamento: effettivo quando giunge all'indirizzo dell'interessato

La Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo il licenziamento disciplinare inflitto al dipendente che è venuto a conoscenza dell’intento espulsivo del datore prima che quest’ultimo esaminasse le sue controdeduzioni poste in qualità di incolpato, dovendosi ritenere che il licenziamento è atto recettizio nei confronti del lavoratore e, come tale, produttivo di effetti soltanto dal momento in cui giunge all’indirizzo del destinatario. Ne consegue, che l’essere stato preannunciato a un terzo con messaggio confidenziale solo a lui indirizzato e non destinato anche al lavoratore non può farlo considerare come già perfezionatosi solo perché il lavoratore medesimo ne sia casualmente venuto a conoscenza.
Il licenziamento è un negozio unilaterale recettizio, diretto alla persona nella cui sfera giuridica è destinato a produrre effetti, mentre nel caso di specie la comunicazione confidenziale che anticipava ad un terzo il già maturato intento societario di recedere dal rapporto di lavoro con il dirigente non solo non era diretta (nel senso di essere destinata) al dipendente, ma non aveva natura negoziale e neppure di atto giuridico in senso stretto.
Analogamente, non rileva che l'intento di licenziare un dipendente sia comunque maturato prima (in seno al consiglio di amministrazione o in altri): finché esso non sia stato manifestato con atto avente efficacia esterna in quanto diretto al destinatario, non solo è inidoneo a risolvere il rapporto, ma è pur sempre superabile alla luce delle giustificazioni offerte nel corso del procedimento disciplinare. In breve, non basta che un determinato intento negoziale fuoriesca dall'intima sfera soggettiva in cui è maturato e venga in qualche modo conosciuto da altri, ma è necessario che venga esternato e precipuamente diretto al destinatario e non a persone estranee all'effetto che si vuole produrre. Conclusivamente quindi giudicato legittimo il licenziamento anche dalla Suprema Corte.


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